Ti sei mai chiesto quanti chilogrammi pesa 1GB? Probabilmente no, ma quelli del progetto Event Horizon Telescope si.
La prima foto di sempre ad un buco nero è stata ottenuta trasferendo dati su hard drive inviati su normali voli commerciali.
Hanno preso gli hard drive, li hanno impacchettati e li hanno spediti per via aerea. Un po’ come i pacchi degli studenti fuori sede, con all’interno la pasta Divella perché è noto che a Milano non vendono la pasta nei supermercati.
Sembra una cosa insensata: con il 5G alle porte, internet che si insinua in ogni aspetto della vita e quasi tutto può essere trasferito in un istante dall’altra parte del globo.
Esatto, quasi tutto! Uno dei progetti più all’avanguardia del mondo ha un grosso problema: ha troppi dati ed un messaggio WhatsApp non va bene.
Di questo, ne parla l’articolo da cui ho tratto alcune delle prossime informazioni “The Hidden Shipping and Handling Behind That Black-Hole Picture – The Atlantic”.
La prima foto di un buco nero è quasi tutta nera
L’immagine del 10 Aprile 2019 è già storia perché un buco nero per definizione inghiotte qualsiasi cosa, anche la luce. È impossibile fotografare qualcosa che non emette o riflette luce, ma il progetto EHT (Event Horizon Telescope) ci è riuscito, o meglio, ci è quasi riuscito.
Event Horizon Telescope è una collaborazione internazionale che realizza un telescopio virtuale di dimensioni terrestri utilizzando 8 antenne radio (radiotelescopi) dislocate in 4 continenti.
Nella pratica, gli 8 radiotelescopi, fotografano le emissioni radio di tutto quello che viene inghiottito nel buco nero, con l’obiettivo di osservare l’ambiente circostante di un buco nero.
L’immagine che è stata ottenuta rappresenta quello che viene chiamato l’orizzonte degli eventi di un buco nero. Da cui il nome del progetto Event Horizon Telescopi, abbreviato EHT.
L’orizzonte degli eventi di un buco nero appare come un anello luminoso formato mentre la luce si piega nell’intensa gravità attorno al buco nero che in questo caso è 6,5 miliardi di volte più massiccio del Sole.
Questa immagine fornisce una delle prove più forti fino ad oggi dell’esistenza di buchi neri supermassicci.
5 Petabyte di dati per un buco nero
Oltre alla complessità scientifica del progetto, quelli dell’EHT hanno un grosso problema pratico, quasi imbarazzante.
I dati provenienti dagli 8 telescopi, per essere elaborati, devono essere inviati a due istituti di astronomia: l’Osservatorio Haystack del MIT negli Stati Uniti e il Max Planck Institute for Radio Astronomy in Germania.
Parliamo di oltre 5 Petabyte di dati. 1 Peta Byte corrisponde a 1 milione di Giga Byte. Circa 10 mila iPhone.
Sono troppi per essere ragionevolmente trasferiti attraverso connessioni Internet, quindi l’EHT ha utilizzato un metodo piuttosto inusuale detto Sneakernet.
Gli hard drive sono stati estratti dai computer, impacchettati e spediti per via aerea. Centinaia di hard drive hanno preso il volo da e verso gli osservatori utilizzando le più comuni FedEx e UPS. Ho l’ansia solo a pensarci.
Gli hard drive sono stati alloggiati in pile da 8 moduli che consentiva di registrare i dati su tutte e otto le unità contemporaneamente. Ogni pila dischi, oltre al loro rivestimento personalizzato pesava circa 23 chili.
Il vero problema è stato il viaggio di ritorno degli hard drive pieni. Questo perché, ancora una volta, i dati erano troppi per poter effettuare un backup. Quindi i dischi che volavano fuori dalle stazioni erano gli unici che avevano.
In oltre, avere 8 telescopi in 4 continenti diversi fa si che alcuni percorsi di spedizione siano più complicati di altri, ad esempio Cile e Messico hanno regole più severe su ciò che può attraversare i loro confini.
Secondo l’articolo di The Atlantic la destinazione più difficile è stata quella del Polo Sud in Antartide con spedizioni che dovevano soddisfare specifiche molto dettagliate.
La vera domanda che mi pongo è, “perché non hanno usato internet” ?
Il team di Event Horizon Telescpe inizialmente, come è ovvio aspettarsi, ha preso in considerazione l’idea di usare un servizio di condivisione di file come Dropbox o Amazon ASW, ma a i costi erano troppo elevati a causa dell’enorme quantità dei dati, tanto che il team ha dichiarato che:
“Niente batte la larghezza di banda di un 747 pieno di dischi rigidi.”
Ma quanto pesa in chilogrammi un Gigabyte?
Non ho a disposizione la stessa tecnologia di EHT, ma il mio vecchio hard disk esterno di 1,5 terabyte pesa circa 156grammi: circa 0,104grammi per gigabyte.
Sembra poco, ma è pur sempre qualcosa e se consideriamo 5 Petabyte otteniamo circa 5,2 quintali.
Osservando i dati attraverso gli occhi di questa vicenda di colpo sembrano non essere più cosi intangibili.
I dati hanno un peso ed occupano spazio fisico, ma soprattuto necessitano di energia per essere trasferiti, immagazzinati e mantenuti.
Il 5G non è la soluzione a tutti nostri problemi. Le tecnologie di acquisizione dei dati sembrano correre più veloci del modo in cui riusciamo ad immagazzinarle e trasferirle. Ad esempio l’iPhone 11 ha 3 fotocamere da 12 Megapixel ed gli schermi 4K necessitano di bande tra 15 ai 25 Mbps per funzionare. Prima o poi dovremo fare trasferimento dei dati in modo sostenibile.
Già ora uno dei limiti dell’applicazione delle intelligenze artificiali è proprio quello dell’enorme quantità di dati necessarie per farle funzionare e di conseguenza: tempi, modalità di trasferimento e acquisizione.
Per questo motivo il 5G sta riscuotendo così tanto interesse. Allo stato attuale rappresenta una svolta per l’applicazione di tecnologie fino ad oggi impensabili da implementare su larga scala e consumer.
Per chiudere se prendessimo la celebre frase “pesa di più un chilo di piume o di piombo?” alla luce di questa storia diventerebbe “pesa di più un 1 gigabyte a stato solido o 1 gigabyte su disco magnetico?”
Oggi la riposta è facile: SSD. Ma è comunque interessante ragionare in termini fisici su qualcosa che solitamente siamo abituati a considerare come intangibile tanto che a mio avviso un giorno dovremo fare i conti con il problema della spazzatura informativa.
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