Anche con la diffusione dell’e-commerce, lo store fisico conserva la sua importanza nell’esperienza di acquisto. Capita sempre più spesso che scegliamo un prodotto nello store fisico, ma lo andiamo ad acquistare online.
Per alcune persone in particolare, l’esperienza d’acquisto negli store fisici rappresenta un’attività piacevole, di svago, che permette di trascorrere del tempo fuori dalle mura di casa.
Questo aspetto diventa ancor più importante se si considerano persone con disabilità che con l’esperienza d’acquisto possono migliorare il loro senso di autonomia.
Gli store fisici, purtroppo, non sempre garantiscono un’esperienza inclusiva ai clienti a causa di diversi fattori: a partire dalla struttura degli scaffali e dal posizionamento dei prodotti al loro interno. In questo articolo parlerò proprio di quest’ultimo aspetto.
L’incipit di questo articolo mi é stato fornito dalla definizione di disabilità del World Health Organization citata nel talk “DESIGN FOR ACCESS AND INCLUSION” di Caterina Falleni (Design Lead for Accessibility, Facebook) in occasione del WorldUsabilityDay di Milano:
“Disability is a mismatched interaction between the features of a person’s body and the features of the environment in which they live” — World Health Organization, 2011 World Report on Disability
Tradotta diventa pressappoco: “La disabilità è un’interazione errata tra le caratteristiche del corpo di una persona e le caratteristiche dell’ambiente in cui vivono”.
Quindi, partendo dalla mia particolare condizione genetica che mi rende poco più alto di 1,45 m mi sono chiesto: “qual è quell’ambiente caratterizzato da un design non inclusivo?”.
La risposta è stata: “il posizionamento dei prodotti sugli scaffali degli store fisici è spesso per mia esperienza non inclusiva”. Questo accade indiscriminatamente per supermercati, librerie, store di vestiti o scarpe ecc.
Illustrerò la tecnica generalmente utilizzata per il posizionamento dei prodotti negli store fisici e successivamente vi spiegherò perché, a mio avviso, non è inclusiva.
Store fisici e posizionamento dei prodotti
Il posizionamento dei prodotti negli store non è assolutamente casuale, bensì frutto di un preciso processo di marketing e di design che si avvale di studi e discipline che cooperano per ottenere precisi comportamenti di acquisto.
Questa pratica è detta in-store product placement, ma più genericamente si fa riferimento allo Shelf Marketing (Marketing dello scaffale) in cui si intrecciano tecniche di neuromarketing, psicologia dei consumi, comunicazione e design.
Design Inclusivo e posizionamento dei prodotti
Per mia esperienza, questa pratica di posizionamento dei prodotti non è inclusiva, ovvero non è realizzata in modo da permettere a tutti allo stesso modo di accedere agli stessi prodotti sugli scaffali.
Dalla mia esperienza personale ho osservato che alcuni consumatori intenzionati ad acquistare specifici prodotti potrebbero non farlo perché è fisicamente impossibilitati a prelevarli o vederli.
In varie tipologie di negozi, non mi è spesso fisicamente possibile prendere almeno un prodotto su due e se non lo è per me lo sarà ancor di più per persone con condizioni fisiche più complesse.
Cosa succede quando un prodotto a cui sono interessato mi risulta fisicamente inaccessibile?
All’atto pratico ho quattro soluzioni:
- rinunciare completamente al prodotto;
- ripiegare su un prodotto differente;
- prendere furtivamente in prestito una scaletta degli addetti ai lavori;
- chiedere al primo passante di prelevare il prodotto al posto mio.
Ognuna delle opzioni ha delle criticità: ad esempio non è sempre disponibile un addetto ai lavori nei dintorni oppure capita che i clienti a cui chiedo supporto non sono poi così alti da permettere loro di prelevare con facilità il prodotto e non è raro che la vecchietta di turno a cui ho chiesto aiuto risulti più in difficoltà di me.
Può anche capitare che, dopo aver visionato il prodotto che con tanta difficoltà sono riuscito a prelevare, potrei decidere di non acquistarlo avendo quindi la necessità di riposizionarlo e questo risulta più complicato che prelevarlo. Obbligandomi a chiedere nuovamente supporto o abbandonare il prodotto dove capita.
Questa situazione ha diversi effetti sulla psicologia di chi la vive, nel mio caso alla lunga si riduce in scelte di acquisto mosse più dalla facilità di accesso fisico e autonomia nell’esperienza d’acquisto che dal vero interesse al prodotto.
Se preferisco i prodotti a cui posso accedere in modo autonomo anche se sono interessato a prodotti di target superiore significa che il marketing ha fallito.
Tutti gli sforzi volti a spingere un consumatore ad acquistare un determinato prodotto vanno a farsi benedire nel momento in cui esso viene posizionato in modo inaccessibile.
La mia osservazione è che questa situazione non caratterizza solo il sottoscritto. Solo per fare qualche esempio potrei citare persone in carrozzina, con problemi di movimento (verso il basso o verso l’alto), persone di bassa statura, anziani e cosi via…
Esiste quindi una porzione rilevante di persone che non acquista determinati prodotti perché realmente non riesce a prelevarli dallo scaffale, producendo un:
- fallimento a livello di marketing;
- problemi di autonomia e libertà di consumo a livello di persona;
- un’esperienza in-store generalmente non soddisfacente.
Design inclusivo del posizionamento dei prodotti negli scaffali
Come si può rendere l’esperienza d’acquisto più inclusiva con un migliore posizionamento dei prodotti sui normali scaffali?
Indipendentemente dall’altezza di accesso allo scaffale, ogni persona deve poter fruire di tutti i prodotti disponibili senza impedimenti fisici.
A questo proposito ho immaginato 4 disposizioni diverse, dove l’idea base consiste nel prendere come riferimento un area di massima inclusività (vedi immagine: area inclusiva in rosso).
Su questa base ho immaginato quattro metodi di posizionamento: per colonne; alternato; top-bottom e ripetitivo.
Posizionamento per colonne
Il posizionamento per colonne è forse il più inclusivo e semplice da realizzare.
Si realizza posizionando prodotti identici dall’alto in basso su una porzione dello scaffale. Questo permette al consumatore di accedere al prodotto in modo identico a tutte le altezze dello scaffale. Inoltre rende l’individuazione dei prodotti semplice e lineare facendo diminuire lo stress durante l’esperienza in-store.
Tra i contro emerge un problema di gestione dello spazio in quanto siamo obbligati ad usare sempre un’intera colonna limitando il numero di prodotti in rapporto allo spazio disponibile, ma si presta bene nell’utilizzo con prodotti ad ingombro elevato attraverso una maggiore libertà di ampiezza dei ripiani.
Posizionamento alternato
Il posizionamento alternato si realizza alternando dall’alto al basso di una porzione di scaffale due differenti prodotti per ripiano, ottenendo che a qualsiasi altezza si accede allo scaffale si potrà sempre avere a disposizione 2 tipologie di prodotto in poco spazio.
Questa tecnica ha il vantaggio di ravvicinare prodotti diversi a scopo di marketing, ma rende l’individuazione del prodotto più difficile del metodo per colonne. Anche questo metodo si presta bene nell’utilizzo con prodotti ad ingombro elevato variando l’ampiezza dei ripiani. Spesso capita che brand diversi hanno packaging simile.
Posizionamento top-bottom:
Il metodo top-bottom si realizza prevedendo due aree per colonne, appunto una nella parte alta ed una seconda nella parte bassa, top e bottom.
Il metodo si basa sul fatto che le due aree (top e bottom) sono in parte accessibili nell’area centrale dello scaffale, ovvero quell’area definita di massima inclusività evidenziata in rosso nell’immagine.
La tecnica rende facile l’individuazione del prodotto ed allo stesso tempo permette una certa variabilità in grado di offrire un’esperienza meno monotona. Si presta bene all’utilizzo con prodotti ad ingombro elevato e può rappresentare un vantaggio in termini di spazio utilizzato.
Posizionamento ripetitivo
Per concludere, il posizionamento ripetitivo è ottenuto posizionando diversi prodotti in ripiani diversi in modo ripetitivo.
Ipotizzando di avere 4 prodotti differenti (giallo, verde, blu e arancio) ed uno scaffale da 8 ripiani, possiamo immaginare di posizionare i prodotti come nell’immagine seguente ottenendo che, indipendentemente dal punto di accesso allo scaffale, si avrà a disposizione gli stessi quattro prodotti in 4 ripiani vicini.
Lo svantaggio di questo posizionamento è la sua impossibilità di utilizzo con prodotti troppo voluminosi in cui la ripetizione risulta impossibile.
Mentre per prodotti molto poco voluminosi può essere un vantaggio in termini di spazio garantendo in un unica colonna molti tipi di prodotti ugualmente accessibili.
Conclusioni
I metodi descritti rappresentano un modo del tutto personale che ho immaginato attraverso la mia esperienza. E’ chiaro che per essere applicati, è necessario studiare in modo più approfondita la questione, ma ho ritenuto utile un primo spunto di analisi.
Plausibilmente è possibile immaginare un utilizzo congiunto dei diversi metodi in base a
- caratteristiche fisiche dei clienti target;
- la natura dei prodotti da esporre;
- obiettivi di business e marketing rispetto ai consumi.
Cercando al contempo di mediare tra libertà nel posizionamento dei prodotti e gestione dello spazio per gli obiettivi di business; e facilità di ricerca ed accesso per i bisogni inclusivi dei clienti.
Ritengo che prestando maggiore attenzione al posizionamento inclusivo dei prodotti in uno scaffale sia possibile realizzare una migliore esperienza in-store per tutti, rendendo persone più autonome, felici e più propense al consumo.
Per fare questo, è necessario vedere il design dell’esperienza in-store in un’ottica inclusiva: ovvero più come metodo per correggere l’esclusione che causa (volontaria o involontaria). [ “Mismatch: How Inclusion Shapes Design” di Kat Holmes.]
Chiudo dicendo che chiunque potrebbe essere “disabile” se l’ambiente non collima con le caratteristiche ed i bisogni di chi lo vive, ed alcuni luoghi oggi non possono più essere non inclusivi.
Ringraziamenti: Vorrei ringraziare alcuni miei colleghi per avermi fornito alcuni feedback per migliorare questo articolo: Alessandro Lumaca, Giulia Boifava e Giusy Grasso.
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